Tag: sostantivo femminile

Sceddechéte

Sceddechéte s.f.= Folata, ventata, convulsione

1) Sceddechéte s.f. – Descrive una folata improvvisa di vento abbastanza intensa da fare stormire gli alberi o addirittura far rovesciare le imbarcazioni. Sin: ruffeléte = raffica (di vento, non di mitraglia…).

2) Sceddechéte s.f. – Fase convulsiva che fa contrarre e rilasciare velocemente i muscoli interessati. In questo caso il termine proviene dal verbo sceddeché = agitare le ali (scìdde, o scìlle) [*], ma non in volo.

Il movimento frenetico delle ali di un volatile, che tra l’altro crea ventilazione, mi fa venire a mente quando mia madre uccideva il galluccio recidendogli la carotide.   La bestiola dapprima sceddecöve velocemente, e successivamente rallentava sempre più i suoi  spasmi alari.
Sinonimo: strìseme = convulsioni.

3) Sceddechéte agg. – Malridotto. Scherzosamente descrive qlcn che decisamente non è in buona forma fisica o mentale. Ha perso smalto, brio o vigore, come un galletto abbacchiato, dopo aver sbattuto a lungo le ali ed ha esaurito le forze. Accostatelo all’esempio del galluccio del punto precedente.

[*] Nota linguistica:
Moltissimi termini che nella prima metà del ‘900 terminavano in -dde (cepodde, cavadde, cappjidde, jaddüne, ecc.) nella parlata odierna vengono pronunciati con la finale in -lle (cepolle, cavalle, jallüne…) ad eccezione di jaddenére che ha mantenuto la forma originale..

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Scazzètte

Scazzètte s.f., sopr. = Zucchetto

Con questo nome vengono identificati alcuni tipi di copricapi.

1) Il pileolo, ossia lo zucchetto, quel copricapo a forma di calotta emisferica a otto spicchi, indossato dagli ecclesiastici. È di colore diverso a seconda del loro grado gerarchico, usato dagli alti prelati cattolici sotto la mitra; bianco per il papa, porpora per i cardinli, rosso per i vescovi. Quello nero è usato dagli Ebrei nelle Sinagoghe, sia dai Rabbini, sia dai fedeli;

 

 

2) la cuffietta dei neonati, con due nastri che si annodavano sotto il mento per evitare che cadesse. Era diffusa l’usanza di fé lavé ‘a scazzètte=far lavare la cuffietta da qlcu.

Il gesto equivaleva alla designazione ufficiale della futura madrina di battesimo. Rarissime volte la prescelta rifiutava di diventare la comare di Battesimo: accettava, e come gesto d’amore concreto verso la creatura, si prendeva cura di lavare a casa sua la prima cuffietta indossata dal/la figlioccio/a;
.
3) il berretto da notte di lana grossa fatto all’uncinetto, che gli anziani indossavano per proteggersi dal freddo durante il sonno in inverno. In italiano dicesi papalina.

Esiste anche un soprannome Scazzètte attribuito alla fam. Sportiello

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Scarièlle

Scarièlle s.f. = Tarallo pasquale

Le scarièlle sono confezionate con farina, zucchero e uova. L’impasto viene tirato a ciambella, cotta al forno nella solita ramöre larga imburrata.

In Terra di Bari e nel Salento le chiamano scarcelle o anche scarcedde.

Le ciambelle, larghe anche 20 cm, vengono spalmate di giulebbe (impasto cremoso di chiare d’uovo montate a neve e abbondantissimo zucchero) e cosparsi di confettini colorati.

In tal modo diconsi ‘ngeleppéte = glassate

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Scarfògghje

Scarfògghje s.f. = Tegumento

[da Wikipedia: In biologia e anatomia, viene genericamente definito tegumento qualsiasi membrana o tessuto di varia natura che svolga una funzione di rivestimento e protezione di un organo o di un intero organismo].

Specificamente in dialetto si definisce scarfògghje quella pellicola vegetale che ricopre ogni strato dei bulbi in genere: di cipolla, di muscari (lambasciüne). Al plurale la “o” si pronuncia stretta: ‘i scarfógghje.

La pellicina interna è piuttosto morbida, quasi diafana.

Quella esterna quando la cipolla viene appena sterrata è ancora umida. Dopo un po’ si asciuga, protegge gli strati inferiori, ma è ugualmente sottile e fragile.

Gli anziani spesso ci dicevano che la nostra vita va riguardata perché essa è fragile e delicata come ‘na scarfògghje di cipolla. Era l’immancabile invito alla prudenza, che partiva da persone considerate sempre maestri di vita, un’importente fonte di insegnamento per noi ragazzi della nostra epoca.

Questo monito sarebbe quanto mai necessario adesso, verso la gioventù moderna che non riconosce alcun punto di riferimento morale, e si lascia andare, cedendo alle lusinghe dell’alcol, della spericolata velocità, dai rave-party, dalla droga… La cultura della morte, non della preziosa e irripetibile vita.

Mi voglio fermare qui: io mi devo occupare solo della parte letteraria di questa rubrica, senza sconfinare (troppo) in altri campi! Sono partito dalla foglia di cipolla e sono aapprodato nell’etica.

Ringrazio Tonino Starace per il suggerimento di scarfògghje.

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Scardapèlle

Scardapèlle s.f. = Pesce salato o essiccato

Generalmente i nostri nonni si riferivano a sardine e alici sotto sale.

Questo procedimento di conservazione – strati di acciughe e strati di sale tenuti sotto un peso per favorirna la fuoriuscita di liquido – disidratava i pesci li rendeva quasi solo pelle e lisca.

Credo che ìi scardapèlle siano le sardine e le alici che hanno superato il punto giusto di frittura, e quindi involontariamente diventate croccanti, a causa della riduzione dello spessore del filetto attaccato alla lisca centrale.

Figuratamente in forma aggettivata scardapèlle designa una persona molto magra. Come dire: pelle e ossa.

Ringrazio il lettore Amilcare Renato per il suggerimento.

Invito i lettori a replicare  qualora avessero una definizione più azzeccata.

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Scarciòfele

Scarciòfele s.f.. = Carciofo

Pianta rizomatosa perenne, con infiorescenza a capolino, che, quando è in boccio, produce un gustoso ortaggio. In pratica è un fiore quello che mangiamo.

Famiglia Asteracee, genere Cynara, specie cardunculus scolymus..

Apprezzatissimo, quest’ortaggio versatile può prepararsi in mille modi.

Quello che mi ha incuriosito e sorpreso è il carciofo alla brace. Si allargano le foglie e si pone il carciofo sulla griglia a testa in giù. Poi si spiluccano le foglie ad una ad una intingendole in olio. Il carciofo ai ferri non sazia, perché la parte edule è scarsa, ma dà la sensazione di mangiare bruscolini.

Non chiamateli carciöfe per favore. O “i scarciòfele”, alla mambredunjéne, o “i carciofi” in italiano.

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Sbuccatöre

Sbuccatöre s.f. = Sbocco

Luogo dove sbocca un corso d’acqua, una conduttura, una strada e sim.;
apertura verso l’esterno di una galleria, di una grotta.

Specificamente alla sbuccatöre ‘u vjinde = indica lo sbocco (di una strada urbana investita dal soffio impetuoso) del vento.

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Savezìcchje

Savezìcchje s.f. = Salsiccia

Carne di maiale o di vitello, tritata, insaporita con sale e aromi e insaccata in lunghe budella dello stesso animale, talvolta legate in piccoli rocchi.

Qualche macellaio come aroma usa il vino bianco e semi di finocchietto selvatico. Viene generalmente consumata fresca arrostita o a ragù.

Con lo stesso nome si intende anche il salame stagionato, da mangiare a fette. In questo caso quella resa piccante da grani di pepe (i Calabresi usano il micidiale peperoncino macinato di Soverato) è detta savezìcchja fòrte per distinguerla dalla salsiccia normale, chiamata savezìcchja dòlce.

I Latini la chiamavano salsicia, derivato da salus = salato e insicia = carne tagliuzzata.

Mi fanno ridere i Toscani o quelli che credono di parlare italiano quando dicono “salciccia”, con tutte quelle ci…

Fino agli anni ’50 era rigorosamente “vietato” mangiarla durante il periodo quaresimale. Il Carnevale (Carnevale = carne-levàmen = carne-togliere ) rappresentava l’ultima abboffata prima della Quaresima, fino a Pasqua, una specie di Ramadàn cattolico.

Io presumo che all’epoca l’astinenza dalle carni avesse avuto più una motivazione finanziaria che una religiosa.

C’era un detto: Tó nen nce vjine? E savezìcchje nen n’éje! = Tu non vieni? E salsicce non ve avrai!
La savezìcchja frèške era il trionfo della trasgressione!

Ora, se ce ne priviamo, lo facciamo per motivi di colesterolo.

Savezicchjöne non indica un grosso salume, ma è inteso come sinonimo di ingenuo, che è facile al raggiro, credulone.

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Sertóscene

Sertóscene s.f. = Tartaruga

Detta anche Sertójene, Sertócce, Sartóscene = testuggine

Rettile terrestre (Testudo hermanni) con carapace lungo fino a 26 cm, diffuso nell’Europa meridionale e allevato spec. nei giardini, comunemente detto tartaruga.

L’esoscheletro è composto da uno scudo dorsale convesso, detto carapace, e dallo scudo ventrale, detto piastrone, uniti tra loro da legamenti elastici.

Quella di mare, la famosissima Caretta caretta, è una specie protetta perché in via di estinzione. Talvolta si impigliava nelle retri dei nostri pescatori.
Qualche persona, ignara della proibizione, ne ha anche mangiato le carni giudicandole eccellenti.
Da qualche anno è attivo il nostro Centro di Recupero di Tartarughe Marine si è reso benemerito per averne salvate  rischio di soffocamento da materiale plastico.

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