Tag: sostantivo femminile

Škàppe

Škàppe s.f. = Papavero; Scheggia; Goccia

1) = Papavero. Fiore di papavero rosso selvatico (Papaver rhoeas) della famiglia delle Papaveracee, detto rosolaccio, abbondantissimo nei campi all’epoca della maturazione del frumento.

2) = Scheggia. Truciolo tagliente di legno o di metallo che ferisce le mani di chi maneggia senza protezione oggetti non rifiniti, detta anche škappetèlle. Sinonimo = škàrde s.f.
Può indicare in ebanisteria anche un rialzo di legno usato per livellare una sedia o un mobiletto che zoppica. Anche per chiudere una fessura in fase di restauro o di rifinitura di un mobile.

3) = Goccia. Usato nella locuzione škappe de sedöre = gocciole di sudore, anche figuratamente per indicare la grande fatica sopportata per ottenere un risultato apprezzabile. Anche škappe de làgreme, per indicare grandi lacrime, nel senso di pianto dirotto o anche grandi pene sofferte in passato.
Equivale a sanghe e sedöre = sangue e sudore, o come disse Churchill: lagrime e sangue.

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Škanüje

Škanüje s.f. = Caldana

Sensazione improvvisa di calore al capo con arrossamento del viso e sudorazione.

Fenomeno fisiologico femminile dovuto alla menopausa.

Si manifesta anche anche ai maschi a seguito di un forte stato emotivo, di ansia, di incertezza, di paura..

Mamme m’ho ‘ccundéte ‘u sùnne ca ho fatte jèsse, e mo’,  škìtte ca pènze, me vènene ‘i  škanüje = Mamma mi ha raccontato il sogno che ha fatto lei, e ora solo che ci penso, mi stanno venendo le caldane

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Škanéte

Škanéte s.f. = Pagnotta

Impastare il pane si dice tembré.
Spezzarne delle parti per dividere la massa cruda dicesi škané ‘u péne (dal latino explanare ), ossia  spianare la pasta lievitata per fare le forme di pane.
Quindi il termine škanéte  significa letteralmente spezzata, tagliata.

La škanatèlle una una pagnotta di pane più piccola, del peso fino a un chilo. Un po’ per volta si è passati a dire pagnuttèlle.

Quelle “normali” arrivavano a pesare anche fino quattro kg.  In casa si impastava una massa enorme (anche di dieci kg) di farina, perché il pane era la base principale dell’alimentazione delle famiglie numerose.

Dalla pasta si ricavavano le varie pagnotte, 3 o 4. tagliandole, senza usare coltelli, ma mozzandole con le mani. Si riteneva che il freddo della lama potesse bloccare la lievitazione.

Non esistevano forni domestici, e per la cottura – anche di scavetatjille, rjanéte, puperéte, ecc. –  si ricorreva al forno pubblico alimentato a legna (Sfaìlle, Zappetèlle, Grasso, Ze Züje, Gambardella ed altri…)

Mi ricordo che, prima di introdurre il pane,  quando il forno era ancora in fase di riscaldamento, vi si cuocevano il “Tortanello” (una sorta di ciambellone di pasta di pane) e la “Pizza alla vampa” (focaccia semplice con pomodori olio e origano) che richiedevano pochissimo tempo di cottura.

Il rito della panificazione domestica ci permetteva  di gustare queste squisitezze molto prima dell’arrivo del pane .  Era un graditissimo… effetto collaterale.

Il termine “scanata” è usato anche in Sicilia, in Campania, in Basilicata e in Calabria.

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Škaffètte

Škaffètte s.f. = Corrispettivo straordinario in natura.

Alla fine di una battuta di pesca, i pescatori dipendenti, per antica consuetudine, si dividevano una parte del pescato, che andava in aggiunta alla paga pattuita.

Con questo termine, nato nell’ambiente marinaro, ora si intende qualsiasi sovrappiù, in natura o in denaro, che si è lucrato prestando la propria opera.

So’ jüte ajuté a cuggìneme a cògghje i pemedöre e me so’ abbuškéte ‘a škaffètte = Sono andato ad aiutare mio cugino a raccogliere i pomodori, ed ho guadagnato qualcosa per me (in denaro o in pomodori, indifferentemente).

Purtroppo il termine designa anche un’azione delinquenziale.

‘U sé quanda neguzzjànde pàjene ‘a škaffètte…= Chissà quanti commercianti pagano il “pizzo” ai malviventi…

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Škafaröje

Škafaröje (o šcafaröje)s.f. = Lemmo, vaso, contenitore.


Era un vaso in terracotta, grezzo all’esterno ma smaltato e vetrificato all’interno. Aveva la forma di tronco di cono rovesciato, con la base più stretta, che si allarga verso l’alto, con il bordo superiore a risvolto ingrossato per una facile presa.

Il nome deriva dal greco “Scaphe” che si traduce in vaso, tinozza. Anche il latino ha adottato il greco. Infatti si indicavano “scaphat” i vasi in terracotta. 
In Sicilia è chiamata scafarìa.
La parte interna smaltata (apprezzata dalle nostre nonne perché facilmente lavabile) aveva le pareti e il fondo color pistacchio sul quale irregolarmente presentava delle striature a reticolo color verde bottiglia.

Era usata generalmente per contenere alimenti, per lavare le verdure, per salare le olive, per contenere la passata di pomodori, per conservare ortaggi nell’aceto (lambascioni, peperoni, ecc.) e anche per mettere i panni a bagno con la varichina, o per un mini bucato a mano.

La škafaröje standard aveva il diametro superiore di circa 60 cm. Quella di minore dimensione lo aveva  di circa 30 cm; e serviva principalmente a pulire il pesce, e veniva chiamata con un melodioso diminutivo ‘a škafarjèlle.

Se disgraziatamente il recipiente si rompeva, si ricorreva all’arte dell’ambulante conza-pjàtte. Nell’immagine vedete una škafaröje riparata con dei “punti” di fil di ferro e sigillati con mastice bianco. 
Avete notato che ho usato i verbi al tempo passato. Infatti la plastica ha soppiantato completamente questi utilissimi contenitori.

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Sìcce

Sìcce s.f. = Seppia

Seppia (Sepia officinalis ). Mollusco cefalopode con il corpo è ovale, circondato da una pinna a nastro.

Ha i consueti otto tentacoli dei cefalopodi e in più due tentacoli lunghissimi, retrattili, con il terminale provvisto di ventose.

Si mimetizza con rapide variazioni di colore al suo dorso e usa lanciare un inchiostro nero contro i predatori per sfuggire e mettersi in salvo.

È egregiamente e largamente usata nella gastronomia locale. Viene servita in croccante frittura, o arrostita alla brace, o ripiena sia al forno e sia  al ragù.

La seppia è un po’ il simbolo di Manfredonia/Siponto.

Il nome Sipontum deriva proprio da sipus (seppia) + pontum (mare) quindi “mare pieno di seppie” (grazie giolabe per il suo suggerimento).

Ora andate a vedere il Monumenti ai Caduti davanti al Castello, realizzato dallo scultore foggiano Baniamino Natola (1887-1972).

Se guardate bene in basso a destra della Vittoria Alata, noterete una seppia mentre tiene chiusa con i suoi tentacoli la bocca di un delfino.

La seppia simboleggia il popolo sipontino, mentre il delfino, l’Impero Austro-Ungarico. L’allegoria vuole esaltare il valore dei nostri ragazzi i quali,  nella Grande Guerra 1915-1918, con il loro eroismo, sono stati capaci di tacitare il grande Impero Centrale. Questo fu il grande contributo che Manfredonia diede alla Patria: 126 morti, 37 invalidi e mutilati, 12 medaglie d’argento,14 medaglie di bronzo.
La colonna di marmo inserita nel Monumento è stata prelevata tra le rovine dell’antica Siponto e posta a perenne memoria di quanti per la Patria si sacrificarono.

Queste notizie “storiche” mi furono tramandate da mio padre, classe 1901, che certamente assistette all’inaugurazione del Monumenti ai Caduti pochi anni dopo la fine della Grande Guerra, e seppe memorizzare i roboanti discorsi del regime fascista: lui era giovane e la memoria non gli mancava.

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Sfajìlle

Sfajìlle s.f., sopr. = Scintilla.

Piccolo frammento di materia incandescente. Si ottengono sfajìlle per esempio, quando si accendono i carboni vegetali per farne brace.

Quelle del ferro arroventato al calor bianco nella forgia del fabbro sono bellissime: appena il ferro rovente è posto sull’incudine e riceve sapienti colpi di martello per la lavorazione, ne sprigiona una cascata sfriggolante.

I nostri nonni dicevano sfascìdde. Il termine si è, diciamo, ingentilito perché sembrava troppo rustico. Come desciüne, divenuto dejüne o cavàdde, diventato cavalle.

Il lettore Leonardo Esposto afferma che il soprannome Sfajille appartiene alla sua famiglia da molte generazioni. Il noto forno di sfajille era ubicato in Via Campanile ed ha cessato la sua attività nel 1982.

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Sèsse

Sèsse s.f. = Sàssola o sèssola

Nulla a che vedere con il sesso!

La sàssola o sèssola è quella grossa cucchiaia rettangolare, in legno o plastica, che serve a svuotare le imbarcazioni dall’acqua.

Quando esistevano i negozietti di generi alimentari che vendevano la merce sfusa, era usata per raccogliere il riso, la farina, lo zucchero, la pasta corta dai loro contenitori e trasferirli sulla bilancia.

Allora tutto si vendeva sfuso. Ovviamente questa sèssola era più piccola e di alluminio. Forse la usano ancora i negozi di torrefazione che vendono il caffé in grani.

La prima cosa che vedemmo confezionata in pacchi di carta translucida da mezzo chilo, fu la pregiatissima pasta “Sovrana”, del “Premiato Mulino e Pastificio D´Onofrio & Longo” di Manfredonia.

Purtroppo il “nostro” caro Mulüne andò distrutto in un incendio.

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Sèrchje

Sèrchje s.f. = Ragade, serchia

Piccola lesione della pelle o delle mucose in forma di fessura; si sviluppa sul capezzolo, nell’ano, sulle labbra o anche sulle mani esposte a lungo al freddo o ad agenti chimici aggressivi.

Agghje tucchéte ‘u ggìsse e mo’ tenghe i sèrchje ai méne
= Ho toccato la scagliola di gesso, e ora ho le ragadi alle mani.

I nostri contadini chiamavano sèrchje anche le spaccature riscontrate nei terreni incolti o a maggese.

Il carissimo dott. Matteo Rinaldi – co-autore con Pasquale Caratù del notissimo pregiato Vocabolario del nostro dialetto – mi suggerisce una intuitiva locuzione sostantivata:
«Sèrchje alla chépe locuz. sost.f. corr., med. = Idrocefalo.
Aumento dei diametri del cranio dovuto a tumore o a condizione che aumentano o bloccano la circolazione del liquor, per cui le suture craniche si distanziano (come se si aprissero). Condizione che trasforma il cranio nelle stesse condizioni della pelle quando va incontro alla sèrchje.  Si spiega così il perché di questi due accostamenti.»

Insomma qualsiasi fenditura, piccola o grande era detta sèrchje.

Cercando in rete ho scoperto che il termine deriva dal latino serculam.

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Seppònde

Seppònde s.f. = Puntello, supporto, sostegno

Elemento di sostegno, usato in edilizia per puntellare una parete, quindi una superficie verticale.  Generalmente sono di legno e vengono sagomate a seconda della necessità (come nella foto).

Specificamente un paletto che sostiene una parete, un piano di legno, una cassaforma, o uno scavo instabile.

Per sorreggere i solai, quindi piani orizzontali, attualmente sono usati puntelli metallici tubolari telescopici, cioè estensibili a cannocchiale, per adattarli all’altezza voluta.

È proverbiale una specie di dialogo, in un italiano incerto. Si voleva initare il teatrino delle marionette che si svolgeva negli anni ’50 nel mitico ‘baraccone’ di Don Giovanni, dov’è ora il Montepaschi, ove si rappresentavano le storie cavalleresche (La chanson de Roland)

Un Paladino diceva, rivolto a Carlo Magno: “Sire, il ponte trabbaléscia!” (traballa, è instabile).
Risposta immediata: “E mettici una sippònda!” (un puntello).

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