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Crìstecevènghe

Crìstecevènghe escl. = Dio ne liberi

Crìstecevènghe era una specie di scongiuro che si diceva subito dopo aver pronunciato il nome del Diavolo, per neutralizzare il male che il Satana irradia al solo nominarlo.

Non so se è ancora in uso.

In effetti significa “Cristo-ci-venga-in-aiuto”.

Qualcuno ancora più timoroso del potere di Satana, rafforza la sua richiesta di soccorso, chiamando in causa per aiuto immediato anche la Santa Vergine: “Cristecevènghe e Marüje!” = Cristo ci venga in aiuto e anche Maria!).

Rammento che una ragazza che non voleva un giovane rimpiscatole, vedendolo che si avvicinava, disse una volta tra i denti: Uì mo vöne códdu Criste-ce-vènghe = Lo vedi (ecco) ora viene quel diavolo!

Quindi ha usato l’interiezione come locuzione sostantivale al posto di “diavolo”.

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Che uà jèsse! 

Che uà jèsse! escl. = che cosa inspiegabile

Ammessa anche la forma breve c’uà jèsse

In effetti, quando si cerca di dare una spiegazione di un fenomeno “inspiegbile” e non si può concludere per ignoranza o dimenticanza, si ricorre al “deus ex machina”, la parola magica: che uà jèsse!

U crjatüre mò jì néte e già vé truànne a mennòzze d’a màmme: che uà jèsse! = Il bambino adesso è nato e già va in cerca della tetta della madre (per nutrirsi): che cosa inspiegabile!

Che uà jèsse, quann’arrüve màrze tutte l’ànne arrìvene i rennenèlle = Che mistero, quando arriva marzo tutti gli anni arrivano le rondinelle.

Che uà jèsse, nen töne manghe düje müse e già canosce alla nonne
 = Che cosa incredibile, (il poppante) non ha nemmeno due mesi (di età) e già riconosce sua nonna.

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Buzzaràrete

Buzzaràrete inter. = Vergognati, hai fatto una cosa indegna, sei un imbroglione, ecc.

Il lettore Enzo mi suggerisce quanto segue:

“Forse deriva da buggerare, che è dall’it. antico buggera = inganno, imbroglio, errore.
All’origine significava eresia (difatti deriva da bulgari che erano appunto eretici), magari costruito sulla forma di bugiardo.
Credo che possa anche derivare dall’espressione “possa arderti” che non è poi distante da “eresia”.

In ogni caso l’interiezione è quasi del tutto in disuso, perché si ricorre, quando è il caso, al più rapido frèchete(←clicca).

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Bonasöre

Bönasöre escl. = Buonasera

Formula di saluto o di augurio che si usa al pomeriggio e/o alla sera.

Si può scrivere staccando i due termini Böna söre, come accade per l’italiano “Buona sera”. 

Nel caso in cui si fa un saluto collettivo per accomiatarsi,per delicatezza è preferibile pronunciare  il saluto in lingua: “Buona sera a tutti!” perché nella comitiva da cui ci si  allontana potrebbero esserci delle  persone forestiere.

A proposito di bonasöre mi viene a mente una preghiera dialettale tramandataci per tradizione orale e recitata dalle nostre nonnine che inizia proprio con questo saluto:

PREGHIERA DELLA SERA

Buonasöre, buonasöre,
L’àngele appìccene la cannöle,
La Madonne vé pe la chése
‘U méle ce jèsse, e ‘u bbune ce trése.

Quatte candüne stanne jìnd’ a ‘sta chése
E quatte àngele ce trése [1] 

Lüche , San Giuànne,
San Mecöle Arcàngele e Gése Crìste
Mò-mò accummènzene a dïce
A mòrte e passiöne de nostre Signöre Gése Crìste.

Signöre,
je sacce la cuchéte,
ma nen sacce la iavezéte.

Signöre,
perdùne tutte i pecchéte
fïne da l’öre ca so’ nnéte

Pjitre, Madonn’Adduluréte,
i trìdece [2] apòstele e i quatt’ evangelìste,
je m’abbrazze pe la Madonne e Gése Crìste.

Sand’ Andònje, mio dilètte
Inda a chésa möje je t’aspètte,
vine p ‘u tüve giglje [3]
pùrteme ‘nu bbune cunzìglje;

questa grazia ca je te cèrche
fammìlle pe caretà
fammìlle pe pietà
fammìlle pe lu tröne [3]
d’à Santìssema Trinità.

Note:
[1]  per concordanza col soggetto dovrebbe esserci  ce tràsene, ma per necessità di rima si accetta questa licenza poetica.
[2] Era diffuso dire 13 apostoli, perché a tavola c’era anche Gesù: quindi tredici commensali. Ora stare a tavola in tredici porta male, perché in quel numero c’è il traditore: Giuda.
[3] suonerebbe meglio gìglje tüve, ma la rima è tiranna.
[4]‘u tröne = il trono. Con il medesimo suono significa anche treno.

Preghiera tramandata oralmente da Nicoletta Pinto, classe 1906, a suo figlio Francesco, che la recita tutte le sere.
Notizia riportata da Alessandra, nipote di Nicoletta Pinto, che ringrazio di avermela proposta.

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Benedüche

Benedüche loc.id. = Benedico!

Va bene anche scritto benedïche essendo le vocali ï e ü omofoni.

Nulla a che vedere con la benedizione del rito cristiano…

Si tratta di una formula consolatoria, di compiacimento o augurale rivolta verso qlcu per rassicurarlo che non si parla per invidia.  Come se significasse: bene dico, non dico male.

Mattöje, da quanda tjimbe ca nen te vöte. Sté proprje belle, benedüche! =Matteo, da quanto tempo non ti vedo! Stai proprio in forma, davvero!

Ha’vìste ‘a crjatüre de Lucjètte? Quant’jì bèlle, benedüche! = Hai visto la figlioletta di Lucia? Quant’è bella, proprio bella!

Le credenze popolari spiegavano che in omissione di benedüche la frase assumeva un carattere di sordida invidia, e perciò il soggetto osservato veniva pegghjéte ad ùcchje = “preso ad occhio”, ed era esposto a malori, a rovesci di fortuna ecc.

Ora su queste cose tutti sorridiamo, ma vi assicuro che tuttora – non è vero ma…–  qlcu dice ostentatamente la parola magica benedüche, proprio per farsi sentire dall’interlocutore…

Scherzosamente si declama benedüche! quando si vede una persona o un oggetto di dimensioni superiori alla norma: non si sa mai, dovessi causarne il deperimento!

Sempre scherzando, se si assiste ad una emissione di un sonoro rutto scappato ad un frugoletto, si commenta con un simpatico benedüche! perché da un minuscolo essere non si aspettava un grande numero di decibel. Non sia mai dovesse calare di tono!

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Bembàtte

Bembàtte escl. = Ben fatto!

Ben fatto è la traduzione letterale, ma non rende il senso vero di questa esclamazione, perché può sembrare un segno di approvazione e di ammirazione.

Essa invece deve significare un rimbrotto, specie se qlcn ha agito come un mupacchiöne, e magari dall’impresa avventata in cui si era lanciato ne è uscito malconcio o ferito.

Insomma, vale come un solenne: “ben ti sta, così impari a comportarti da spericolato!”

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