Sciarabbàlle s.m. = Calesse. (Arch.fot. Manfredonia Ricordi)
Calesse leggero a trazione animale, munito spesso di un’ampia “capote” a mantice ripiegabile, per riparare il conducente e l’eventuale passeggero dal sole o dalle intemperie.
Era dotato anche di una coppia di freni, detta ” ‘a martellüne” = la martellina, azionata dal posto di guida con un’unica leva laterale.
I ceppi stringevano dall’esterno i cerchioni e rallentavano la corsa. Usato solo in discesa per evitare che il peso del calesse spingesse il cavallo in avanti e lo facesse cadere.
Il termine sciarabàlle identifica un veicolo a due ruote – a Napoli lo chiamavano sciarabballo, o anche ‘o ri’rote = il (carro a) due ruote – non è altro che la trascrizione fonetica, con lieve distorsione dovuta all’ignoranza del popolino, del francese “Char-à-bancs”, che si proncia “sciarabbànc” cioè “carro dotato di sedili a panca”.
Era costruito per il trasporto di sole persone. Sul retro e sotto il sedile c’era spazio solo per un sacco di biada e per un secchio vuoto per rifocillare la bestia durante una tappa.
Veniva usato per spostarsi dal paese alla campagna, o da una masseria all’altra.
Ovviamente era alla portata dei soli proprietari terrieri, dei medici per gli spostamenti nelle loro visite domiciliari, o dei mediatori per i loro commerci.
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