Cujöte agg. = Calmo
In italiano si può tradurre letteralmente con quieto, nel senso tranquillo, sereno, calmo, riferitio a persona, o all’andamento meteorologico.
Stàtte cujöte! Momò vüte ca torne. = Sta’calmo! A breve vedrai che tornerà.
Cujitàrece v.i. = acquietarsi, calmarsi
Rendersi calmo, e tranquillo dopo uno stato di agitazione, di furia, come nel caso ad es. del mare che siacquieta dopo una burrasca.
C’j’ cujitéte ‘u criatüre? = Si è calmato il poppante?
Cugné v.t. = Rendere come un cuneo
Ritengo il termine sia molto antico.
Quando si scriveva con la penna dell’oca, per ottenere la punta si recideva il fusto della penna con un taglio trasversale inclinato, in modo da ricavarne un cuneo.
Quindi si crea il cuneo, si cogna la penna.
Per estensione, riferito alle matite, significa rifare la punta. Riferite alle penne con il pennino metallico, vale riparare il pennino.
Contrario: Scugné v.t.
Cuggjüne s.inv. = Cugino, cugina.
Cugino/a = Figlio/a di un fratello o di una sorella del proprio padre o della propria madre.
In dialetto, al maschile fa ‘U cuggjüne s.m. = Il cugino; al femminile fa ‘A cuggjüne s.f. = La cugina.
Cambia solo l’articolo, ma il termine è invariabile per il maschile e per il femminile.
Se si parla del proprio cugino o della propria cugina, si dice cuggìneme = mio/a cugino/a.
Se si tratta del o della cugino/a di chi ascolta si dice cuggìnete.
Una curiosità: il simpatico dialetto di Monte Sant’angelo ha conservato il termine latino consobrinus e tuttoggi cugino è detto cunzuprìne.
Cugghjenjé v.t. = Canzonare, beffeggiare, dileggiare
Accettabile la versione cugghjunjé.
Prendere in giro, beffare, schernire, deridere, dileggiare qualcuno.
Deriva decisamente dal sostantivo familiare e volgare chegghjöne = coglione (testicolo) con significato di sciocco, stupido, ingenuo.
Siccome il verbo è chiaramente volgare, e il dialetto non si risparmia nel produrre termini triviali, talora si preferisce usare al suo posto il più sbrigativo sfòtte = sfottere.
Che, me sté cugghjunjànne? = Che fai, mi stai sfottendo?
Se esistesse in italiano, il verbo sarebbe “coglioneggiare”.
Cugghjarüje s.f. = Inappagamento, incontentabilità.
Sensazione che attanaglia chi è sempre insoddisfatto di tutto; che ha sempre da lamentarsi di qualcosa; che non gli va mai bene nulla.
Credo che con linguaggio ultramoderno, voglia dire che costui è “palloso”, che fa aumentare il volume delle stesse….(da “palle” = testicoli = cógghje e da qui cugghjarüje)
Faccio un esempio:
Se una persona anziana chiede di essere continuamente coccolata e viziata e nonostante venisse sempre accudita con tutte le attenzioni possibili e immaginabili, chiede sempre maggiori accortezze, forse anche esagerate ed eccessive, allora quella persona tóne a cugghjarüje.
L’amico prof.Castriotta, ultrasettantenne, asserisce che suo padre pronunciava cugghjarüne . Registro questa versione. Credo che i termini resteranno in vita fintantoché vivranno gli ottuagenari di oggi.
Palloso è molto più snello, immediato ed efficace l’aggettivo, anche in dialetto: pallüse maschile e pallöse femminile.
Cuèrta mbuttüte s.f. = Trapunta.
Coperta imbottita di lana a doppia piazza, pesantissima, che le premurose sposine di una volte si preparavano manualmente per il loro corredo.
Ora la fanno solo industrialmente, imbottite con piume d’oca (quelle più pregiate) e le chiamano in simil-italiano trapónte o piumöne= trapunta o piumone. Leggerissime e caldissime.
Quelle più economiche sono di materiale sintetico, sia il tessuto, sia l’imbottitura. Anch’esse leggere e calde
Cué l´áneme loc.id. = Opprimere
Alla lettera: covare l’anima. Posarsi a lungo, come la chioccia che si pone sulle uova fino alla schiusa.
Si può dire anche accué l´àneme. In napoletano accuvà, significa nascondere, ma principalmente coprire.
Madònne, ´stu càzze me sté ´ngùdda-ngudde, me sté a cué l´àneme! = Madonna, costui mi sta addosso, mi sta opprimendo, mi sta togliendo il respiro.
Per estensione anche aspettare pazientemente che i tempi maturino, che le cose cambino. Attendere a lungo, come è interminabile il tempo di una covata, ma alla fine nasce qualcosa, di buono o di cattivo.
Un po’ come cuccuascé.
Cuquìgghje s.f. = Calcinello, tellina, arsella
Nome derivato dal francese coquille (pronuncia simile a “cokiglie”) che significa conchigia..
Comunissima su tutti gli arenili d’Italia, la tellina o arsella è un mollusco bivalve della famiglia Donacidæ (Donax trunculus). Vive nei fondali sabbiosi del Mediterraneo, Mar Nero, Oceano Atlantico.
L’esterno è biancastro e l’interno di un bel blu o violetto. Raggiunge una lunghezza massima di cm 3.
I gusci vuoti che troviamo sugli arenili presentano un forellino circolare e denotano che la tellina è stata vittima dei predatori (stelle di mare, polpi).
Ora viene raccolta (magari solo le valve vuote) per la curiosità dei bambini.
Le telline sono eduli, e se ne ricava un sughetto molto profumato, ma c’è poco da scialare….Non ci si può certo saziare!
Infatti, per la esiguità del “frutto” viene anche citato metaforicamente per mostrare una limitatezza di mezzi.
Ad es: Che so’ ca vé truanne da me, cuquìgghje? = Che cosa pretendi da me, conchiglie? Come per dire non chiedermi quello che non posso darti. Sono in ristrettezza di mezzi.
Se qualcuno mostra di essere generoso offrendoci qualcosa di scarso pregio o valore, ottiene una lapidaria risposta che soppesa la sua rachitica prodigalità : “Cuquigghje” = Sì, quisquiglie (come direbbe Totò).
Una volta ricordo che le telline venivano raccolte (dai cuquigghjére o cucugghjére) e poste in vendita sull’uscio di casa a piatti, ricoperte di acqua marina per dar loro modo di spurgare eventuali granelli di sabbia. Non che procurasse lauti guadagni, ma solo pochi spiccioli, comunque ben accetti.
Quando degli amici, giusto per passare il tempo, si riuniscono e fanno discorsi vuoti, non impegnativi (i ragazzi di adesso usano il verbo cazzeggiare) auto-ironicamente definiscono l’incontro come l’adunéte d’i cuquigghjére = l’assemblea dei raccoglitori di conchiglie.
Cioè un insieme di chiacchiere vuote (come le conchiglie), senza profitto (come i venditori di telline) e senza utilità alcuna.