Chiöve e möne ‘u vjinde. Pìsce e vjinte cùleche!

Chiöve e möne ‘u vjinde. Pìsce e vjinte cùleche!

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Piove e soffia il vento! Fai pipì e vieni a coricarti.

Un contadino si alza all’alba, d’inverno, per andare a lavorare nel suo campo. Si avvicina all’uscio di casa per osservare le condizioni meteoreologiche e da quelle decidere se è il caso di uscire.

La moglie si accorge del movimento e, dal letto caldo, chiede al marito:
– Cum’jì ‘u tjimbe? = Com’è il tempo?

Lui risponde:
– Chiöve e möne ‘u vjinde. = piove e soffia il vento.

Lei, rendendosi conto che non è giornata per lavorare, ribatte prontamente:
– Pìsce e vjinte cùleche! = Fai pipì e torna a coricarti, così non prendi freddo.

La conclusione pragmatica della moglie è inaspettata, e perciò induce al sorriso.

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Chiaranzéne de gennére: ggiuramènde de putténe.

Chiaranzéne de gennére: ggiuramènde de putténe.

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Notte serena di gennaio è come il giuramento di una puttana.

Insomma non è credibile, non è affidabile.

Proverbio meteorologico che mette in guardia i naviganti dal fidarsi delle serene notti invernali, perché in questa stagione esse possono presentare un repentino peggioramento.

Notate come il proverbio abbia otto sillabe nella prima parte e altre otto nella seconda, molto ben cadenzate. Probabilmente erano nate come testo di un motivo musicale.

Ringrazio il dott. Matteo Rinaldi per il suo prezioso e calzante suggerimento di questo proverbio stagionale.

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Chiànghere de lavannére…

Chiànghere de lavannére…

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Proverbio completo:
Chiànghere de lavannére, rutjidde de marenére = Pietre di lavandaia, capannello, raggruppamento di pescatori.

Dove ci sono gruppi di donne, è inevitabile che attorni vi ronzino i maschi.

In questo caso si riferisce alle lavandaie che sbattono i loro panni sulle lastre di pietra naturale alle sorgenti di acqua salmastra del Mandracchio o di San Pietro (dietro l’ex Istituto Nautico, ora Liceo Classico)

Attenzione: la parlata moderna preferisce (clicca→) rutjille all’autentico antico termine dialettale
rutjidde.

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Chi völe felé, füle a lu zìppere

Chi völe felé, füle a lu zìppere

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Chi vuole filare, fila anche con uno stecco.

Non è indispensabile il fuso, anche un bastoncello è adatto all’uopo.

Morale: Chi ha voglia di lavorare, non accampa scuse come il pelandrone, ma trova sempre la maniera di operare, anche in assenza di risorse.

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Chi völe fé la coške chiù gròsse d’u cüle, ce lu sguàrre!

Chi völe fé la coške chiù gròsse d’u cüle, ce lu sguàrre!

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Chi vuole fare una scorreggia più grande del culo se lo lacera.

Colui che fa il passo più grande della gamba rischia di cadere male, materialmente e anche figuratamente.

Invito alla moderazione.

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Chi völe a Crìste ce lu pröje

Chi völe a Crìste ce lu pröje

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Tradotto alla lettera significa: Chi vuole Cristo se lo prega (da sè stesso).

Il significato di questo Detto vuole evidenziare che “chi fa da sé fa per tre”, ossia non bisogna aspettarsi aiuti da chicchessia. Se si vuole ottenere una cosa, occorre impegnarsi con tutte le proprie forze, non contare troppo sugli altri.

Si può anche domandare un favore a qualcuno, ma bisogna essere preparati a ricevere una risposta negativa.

Nota linguistica.
Il verbo transitivo il italiano vuole l’accusativo (esempio io vedo te).
In dialetto, sulla scorta della lingua spagnola, vuole il dativo: (es.: io vedo a te).

Ricordiamoci che il nostro territorio è stato a lungo sotto la dominazione francese (gli Anjou=Angiò) e spagnola, le quali hanno lasciato vistosi strascichi nel nostro vernacolo.

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Chi tròppe cj’avàsce, ‘u cüle ce mòstre

Chi tròppe cj’avàsce, ‘u cüle ce mòstre

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Chi troppo si abbassa, si scopre (e mostra) il culo.

Ci vuole un po’ di dignità nella vita. Disponibili sì, ma fino a un certo punto, poi basta!

Invito a non essere servili.

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Chi töne, mànge, e chi nen töne mànge e böve

Chi töne, mànge, e chi nen töne mànge e böve

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Chi è abbiente, mangia e chi è misero mangia e beve.

Una botta di ottimismo? Il proverbi illustra una situazione attuale.

Colui che è ricco, non soffre la fame. Ma colui che versa in stato di necessità aguzza l’ingegno, escogita un modo, prova mille sotterfugi, maneggia, inventa, architetta mini imbrogli, si indebita, insomma trova la maniera di mangiare ugualmente e anche di bere, ossia si concede qualcosa di più del “semplice” ricco.

Grazie al lettore Enzo Renato per il prezioso suggerimento.

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Chi töne sòlde asséje, sembe cònte; chi töne ‘a megghjöra bèlle, sèmbe cànte.

Chi töne sòlde asséje, sembe cònte; chi töne ‘a megghjöra bèlle, sèmbe cànte.

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Chi ha assai soldi, sempre conta; chi ha la moglie bella, sempre canta.

Mi piace questo inno alla felicità.

L’avaro pensa solo a racimolare quattrini. Per lui la vita significa solo questo, arricchirsi il più possibile.

Ma fa una vita da miserabile perché non ama spendere nemmeno i soldi per un caffé al bar.

Invece colui che ha al suo fianco una bella e brava moglie, è felice e canta, perché ha capito il vero senso della vita.

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