La muffarde ‘a völe a chelöre, ‘a pulüte accüme la tröve

La muffarde ‘a völe a chelöre, ‘a pulüte accüme la tröve

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La donna sciattona, per riparare un indumento strappato, vuole una toppa dello stesso colore, e quella ordinata si adatta con quella che trova.

Muffarde è sinonimo di refalde, pastròzzele, sciaddöje, ‘ndèsce.

La prima, siccome non trova la toppa come vuole lei, NON esegue la riparazione necessaria. L’altra aggiusta l’indumento comunque.

Ovviamente si tratta di linguaggio figurato. Al giorno d’oggi nessuna persona penserebbe di indossare un indumento lacerato e rattoppato.

Insomma il Detto stigmatizza, coloro che trovano qls pretesto per NON fare nulla di utile e per contro esalta chi, nonostante tutto, si dà da fare per cercare una soluzione o completare un lavoro.

Ringrazio una persona giovane, Tonia Trimigno per avermi fornito lo spunto e una persona anziana per la corretta interpretazione del Detto.

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La mòrte de lu pólepe jì la cepòlle…

La mòrte de lu pólepe jì la cepòlle,

e la salüte de l’öme jì lu verzjìre

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La morte del polpo è la cipolla e la salute dell’uomo e la verdura.

I vegetali sono letali per i polpi ma salutari all’uomo.

Qualcuno più cinico e venale invece di “verzjire” = verdura, usava “burzille” = borsellino, ma il denaro, anche se aiuta a vivere meglio, di per sé non dà la salute.

Un distico, a endecasillabi ben ritmati, che fa pensare ad un accompagnamento musicale passato nel dimenticatoio.

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La megghjöre jì mjizze péne

La megghjöre jì mjizze péne

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La moglie è mezzo pane.

Ovviamente non significa che la consorte vale mezzo panino!

I maligni dicono che la moglie casalinga, non portando altro reddito all’interno del nucleo familiare, consuma passivamente mezzo stipendio del marito.

Nulla di più falso!

Si deve evidenziare invece che la brava moglie, con il suo abile lavoro domestico, con le sue economie, ecc. fa durare il doppio il salario del marito.

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La mangiatöre jì vàsce!

La mangiatöre jì vàsce!

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La mangiatöre jì vàsce! = La mangiatoia è bassa!
La seconda parte del Proverbio è sottintesa, ma talvolta viene aggiunta esplicitamente: e ‘u ciócce möne càvece = e il ciuco sferra calci!

Questo detto evidenzia la facilità con cui questi porcelli di figli di oggi hanno di che cibarsi (e di che vestirsi), e magari hanno anche da protestare.

Ai tempi di mia madre non si poteva dire mai: “questo non mi va, questo non mi piace…”

La risposta era ovvia: se non ti va, vuol dire che non hai fame. Punto. Mangerai domani, se ne resta.

Insomma adesso la “mangiatoia” si raggiungere senza fatica, non costa sacrifici, e perciò quello che viene offerto non è convenientemente apprezzato.

Eh, sì, ‘a mangiatöre jì vàsce! ‘A grascia putténe!  (← clicca)

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La mamma jì vertuöse e la fìgghje jì cüle töse

La mamma jì vertuöse e la fìgghje jì cüle töse

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La mamma è così virtuosa e (invece) la figlia è “culo teso”.

Culo teso può indicare schiena dritta, ossia che non si piega e non si presta a fare lavori domestici.

Smentisce il proverbio “talis pater“…tale padre, tale figlio. Forse vale solo per i difetti!

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La mala növe ‘a porte ‘u vjinde

La mala növe ‘a porte ‘u vjinde

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La cattiva notizia la porta il vento.

Più ottimisticamente preferisco il proverbio in lingua “Nessuna nuova, buona nuova”!

In effetti le cattive notizie volano presto e veloci. Se sei in ansia perché tuo figlio non rientra al solito orario non arrovellarti eccessivamente. Se gli fosse capitato un brutto evento lo avresti saputo dopo pochi minuti, specie ora con i telefonini così diffusi.

(Grazie a Carmela per il suo suggerimento)

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La Madònne sépe chi töne ‘i recchjüne

La Madònne sépe chi töne ‘i recchjüne

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La Madonna sa chi tiene gli orecchini.

Antefatto: “pare che in una chiesa di Foggia furono rubati gli orecchini dalla statua della Madonna; il prete, durante l’omelia, ammonì i fedeli dicendo appunto che la Madonna sapeva chi era stato il colpevole, cercando di spaventarli nella speranza di una restituzione del maltolto”.(ringrazio l’autore: Alberto Mangano di Foggia)

Da allora è rimasto il Detto, diffuso nell’intera Capitanata, che significa che la verità viene a galla, che qualsiasi mascalzonata venga commessa, prima o poi sarà smascherata.

Un invito a comportarsi correttamente, come ammonisce ogni Adagio popolare.

Una seconda interpretazione  riferisce di una donna molto povera che, per impetrare la guarigione del suo figlioletto, si dispera davanti alla Vergine, non potendole portare nulla in dono.
La Madonna conosce bene lo stato di reale povertà di questa mamma e magari intercede per lei, riconoscendole devozione e fede.
Perciò Maria sa perfettamente chi è abbiente (ed è tirato) e chi non lo è (ma sarebbe generoso).

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La jallüne fé l’öve, e au jàlle li dóške ‘u cüle

La jallüne fé l’öve, e au jàlle li dóške ‘u cüle

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La gallina fa le uova e al gallo gli pizzica il culo.

C’è chi sa prendersi i meriti di un risultato positivo, e sa lamentarsi delle sue fatiche sofferte per ottenerlo, tacendo sul fatto che le pene sono state sofferte da altri.

Succede negli ambienti di lavoro. Il capo sa sempre mettersi in mostra: perciò i meriti sono tutti suoi.

I collaboratori invece, che hanno faticato, si sono fatti il mazzo così, sono quasi sempre ignorati, non sono nemmeno nominati, e men che meno additati per riconoscerne i meriti e dar loro un plauso.

Un po’ come la storia del mese di Maggio che si prende l’onore della fioritura di Aprile.

La voce verbale dóške viene dall’infinito (clicca→) dušké = dolere, bruciare

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La gràscia putténe!

La gràscia putténe!

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L’abbondanza puttana!

Quando si vuole evidenziare che non sempre è bene avere più del necessario, si usa questo detto rivolto propri figli.

Ossia, è l’abbondanza maledetta che vi fa diventare viziosi, e perciò con voi si comporta malissimo, come una donnaccia: se ci fosse stata la carestia, tante storie ora non si sarebbero fatte!

Quando qualcuno è dotato di beni economici, per lo meno sufficienti, e si lamenta perché non ce la fa a campare, oppure si trova in una situazione di serenità e tranquillità eppure non è contento, si è soliti redarguirlo dicendogli: quèdde jì la grascia putténe!

Il termine abbondanza si traduce gràsce, ossia con desinenza -sce, ma per poterla legare eufonicamente alla parola seguente si fa terminare con -scia.

Mia madre, che non avrebbe detto mai una parolaccia, nemmeno sotto tortura, usava dire: ‘a mangiatöre jì vàsce = la mangiatoia è bassa, raggiungibile senza fatica…

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