Pìgghjete la jurnéta böne, ca la malamènde nen mànghe mé

Pìgghjete la jurnéta böne, ca la malamènde nen mànghe mé

Goditi la giornata buona che la cattiva non manca mai.

I latini sintetizzando il pensiero dicevano, come il grande poeta Orazio da Venosa nelle Odicarpe diem, quam minimum credula postero = afferra il giorno (buono) confidando il meno possibile nel domani.

Un mio amico napoletano diceva che la giornata buona ce la dobbiamo creare noi, mentre quella cattiva viene da sé, senza essere chiamata.

Similmente, in maniera un po’ consolatoria, riferendosi alla sorte o alla stressa vita, si dice anche : pigghjatìlle accüme vöne = prenditela come viene. Ossia non avere rimpianti o rimorsi.

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Pìgghjete ‘u bbùne quànne l’é, ca ‘u trìste nen mànghe mé.

Pìgghjete ‘u bbùne quànne l’é, ca ‘u trìste nen mànghe mé.

Prenditi il buono quando lo hai, perché il male è non manca mai.

Il grande poeta latino Orazio, (Quintus Horatius Flaccus, nativo di Venosa) morto pochi anni prima della venuta di Cristo, è stato capace di riassumere questo pensiero in due parole: carpe diem, ossia acchiappa il giorno (il giorno favorevole, altrimenti sfugge).

Non ho studiato Orazio in latino, ma siccome in un ristorante di Potenza, chiamato “La Taverna Oraziana”, assiduamente frequentato da me durante il periodo lavorativo, campeggiava questa bella scritta, mi sono impegnato a soddisfare la mia innata curiosità….Ecco perché conosco il significato di carpe diem.

La saggezza popolare di questo proverbio quindi affonda le sue radici fino a venti secoli addietro, seguendo la scuola edonistica della ricerca del benessere, della felicita, del piacere.

E mò basta con la filosofia.

In pratica il Proverbio esorta a non rinunciare, anzi “costruirsi” una buona giornata, perché quella cattiva viene da sola.

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Pigghjé bunèzze per fessetódene

Pigghjé bunèzze per fessetódene

Scambiare la bontà, per sprovvedutezza

La troppa bunèzze passe pe’ fessetódene = La eccessiva bontà viene scambiata per dabbenaggine.

Succede spesso a qlc soggetto che mostra molta disponibilità.

In questo mondo di furbi il poveretto viene scambiato per un soggetto ingenuo, sciocco semplicione.

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Pigghjé ‘i pìsce trjimete

Pigghjé ìi pìsce trjimete loc.id. Esporsi al freddo.

Un simpatico Detto, che tradotto alla lettera, significa: prendere (pescare) le torpedini.

Il vero significato è quello di esporsi al freddo (pigghjàrece ‘na friddjéte), uscire di casa nonostante il tempo gelido, rinunciare al calduccio per dedicarsi a cose ritenute futili.

Che c’entrano le torpedini? Si sa che questo pesce per contatto dà delle scariche elettriche per tramortire le sue prede. Anche l’uomo, toccandoli, avverte come un tremito (da cui il nome dialettale trjimete).

Add’jì ca jéte? Pe ‘su tjimbe jéte a pigghjé ‘i pìsce trjimete! = Ma dove andate? Con questo tempaccio andrete a buscarvi un’infreddatura!

Jogge jéte a vedì ‘a partüte? Sì, avüta pigghjé ‘i pìsce trjimete = Oggi andate allo stadio? Sì avrete da soffrire per la temperatura gelida.

Per estensione può significare anche tremare per lo spavento o per una sgradevole sorpresa. Insomma una sensazione per nulla piacevole.

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Pigghjaracìlle a forte

Pigghjaracìlle a forte

Amareggiarsi, risentirsi, corrucciarsi.

È un sentimento di impotenza davanti a contrarietà che sembravano superabili, ed invece hanno fatto soccombere le speranze di successo. Vivere una forte delusione.

La locuzione si può, ad esempio, coniugare quando si era contato sulla vincita (di un concorso, di una gara, di una competizione, ecc.) che purtroppo non si è più verificata. Un forte rammarico che lascia l’animo indispettito, e rabbuiato.

In italiano si usa la locuzione “aversene a male” o il verbo “prendersela”, come il nostro pigghjaracìlle, ma quell’ “a forte” dà un grado più intimo e un maggiore peso alla delusione.

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Pigghiatìlle accüme vöne

Pigghiatìlle accüme vöne

Prenditela come viene.

Un consiglio a carattere filosofico, dato in maniera un po’ consolatoria, riferendosi alla malasorte o alla stessa vita che riserva sorprese non sempre gradevoli.

Ossia non avere rimpianti o rimorsi, non compiangerti e guarda avanti.

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Pèzze´ngüle e musiška´nghépe

Pèzze´ngüle e musiška´nghépe

Toppe nel sedere ed il cappello in testa.

Esiste anche la versione Zecca ´ngüle e musiška´nghépe. Mi sembra volgare, perché cita insetti parassiti annidati nel deretano del poveraccio in questione.

Si dice per mettere in risalto e sottolineare un abbigliamento disarmonico (giacca nuova e pantaloni vecchi rattoppati).

Una volta i cappelli si facevano di pelle (per chi poteva permetterseli) ed il termine è usato per indicare il materiale animale con cui il cappello era confezionato.

Grazie a Sedum, il cui testo è stato completamente qui trascritto.

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Pére e schemmùgghje

Pére e schemmùgghje

Sembra, pare… e poi scopri.

Modo di dire simpatico, equivalente all’italiano gira e rigira, oppure gira e volta, sotto sotto, alla fin fine, ecc.

Insomma sembra tutto ben fatto, ma poi…escono le magagne.

Ho già detto che scumegghjé significa scoprire, sollevare le coperte.

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Pèrde ‘ngjinze e capetéle

Pèrde ‘ngjinze e capetéle

Perdere la rendita e anche il capitale che avrebbe potuto generarla.

Questo proverbio vuol indicare qlcu che si è avventurato in un’operazione finanziaria finita male, nella quale ha perduto il capitale impiegato nonché l’interesse che sperava di guadagnarci

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Pecchè ‘u Pépe nen jì ‘u Re.

Pecchè ‘u Pépe nen jì ‘u Re.

Perché il Papa non è il Re.

È una risposta evasiva a qlcu troppo inistente con le domande o se si vuole tagliare corto senza fornire spiegazioni sul proprio operato.

Questo detto è rivolto specialmente ai minori dai genitori che vogliono educarlo a non fare certe richieste.

Esempio telegrafico:

-Papà m’accàtte ‘a bececlètte?
-NO!
-E pecché?
-Pecchè ‘u pépe nen jì ‘u Re!

A questo punto non si poteva più discutere. Almeno ai miei tempi.

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