Jìnd’ all’urte müje, pòzze chjandé püre i cepòlle all’ammèrse!
Traduzione letterale: Dentro l’orto mio posso piantare pure le cipolle all’inverso (cioè con le radici fuori terra e le foglie interrate! A voi che cosa importa?).
Un simpaticissimo Detto contadino. Il soggetto chiaramente non vuole che gli altri si intromettano nei propri affari.
Mio nonno era decisamente più esplicito quando diceva:
Jìnd’ a chésa möje pozze caché accüme ‘nu vöve = dentro casa mia posso cacare come un bove.
Insomma non devo dar conto a nessuno del mio comportamento in casa. Rispettate la mia privacy, ekk!(*)
Nota linguistica:
Molti termini, usati fino a metà del secolo scorso, e aventi la desinenza in -dde (cavàdde, cepòdde, martjidde, iaddüne, ecc.), ritenuti troppo rustici, si sono un po’ “ingentiliti” (cavalle, cepolle, martjille, iallüne, ecc.). Però si dice tuttora iaddenére = pollaio.
Altri termini antichi comprendenti il suono sce o sci (desciüne, scjirne o altri) per lo stesso motivo hanno perso il digramma sc (rappresentato scientificamente con il segno [ʃ] – consonante fricativa postalveolare sorda) e ora si pronunciano: dejüne, jìrne = digiuno, genero.
(*) ekk = forma breve dell’esclamazione: “e che cazzo!”
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