Figghje e marüte, cüme li jé te l’àdda tenì !
Figli e marito, come li hai li devi tenere.
Ovviamente esiste anche la versione per l’altro coniuge: Fìgghje e megghjöre, cüme li jé te lì àdda tenì.
Era un obbligo imprescindibile per i coniugi, sopportarsi a vicenda fino al massimo umanamente possibile, non essendoci la possibilità di ricorrere al divorzio.
Diciamo anche che la donna non poteva mai essere economicamente indipendente, e gravava inevitabilmente sulle spalle del marito, sua unica risorsa. Forse sopportava meglio le sua mascalzonate [perché gli uomini di una volta relegavano le loro mogli a “fare la calzetta”, a non partecipare alle decisioni familiari].
Quando la convivenza era proprio impossibile, allora tó a càste e jü a chése = tu a casa tua e io a casa mia, intendendo con ‘tu’ e ‘mia’ quella dei rispettivi genitori. Una dolorosa separazione consensuale.
I figli comunque, come dicono i Napoletani, so’ piezze ‘e core = sono pezzi di cuore, anche quando diventano insensibili verso i genitori.
In questo caso, l’ho sentito con le mie orecchie, scompisciandomi dalle risate: ‘e figlie sò pièzze ‘e mèrda!
Grazie all’inesauribile Enzo Renato per il suo prezioso suggerimento.
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