Tezzöne ‘e carevöne….= Tizzo e carbone…
È una filastrocca che si cita (magari solo l’inizio, perché tutti quelli della mia generazione conoscevano il testo completo) allo scopo di sollecitare lo scioglimento di un’assembramento, un gruppo di nottambuli, una festicciola protrattasi oltre un termine prestabilito, ecc.
Meh, uagnü, tezzöne carvöne…. = Beh, ragazzi, è l´ora di separarci….
Talvolta questo Detto veniva canticchiato su tre o quattro note (clicca qui sotto):
Tezzöne ‘e carevöne,
ognüne ognüne ai chése löre!
E se löre ne ‘nge ne vànne
tròvene ‘a mòrte ammjizze la chése.
Tizzo e carbone, tutti devono rientrare nelle loro case! Ma se costoro non se vanno troveranno una (persona) morta (distesa sul catafalco) in mezzo alla (loro) casa.
Altri Manfredoniani, quale ultimo verso, citano una variante, comunque accettata: passe ‘a morte viciüne alla chése!
Credo che sia stato coniato quando, alla vigilia di una festa religiosa, molte persone si trattenevano intorno ai tradizionali falò (clicca→ fanöje) aspettando che il fuoco si estinguesse completamente. Restavano solo i tizzoni, ossia la parte incombusta della legna posta ad ardere nel falò, che non sprigionavano più la fiamma. Quindi era ora di rientrare perché il falò non dava più luce ma solo cenere e resti carbonizzati.
I bambini ovviamente recalcitravano all’invito delle mamme, perché non volevano perdere quell’occasione per rimanere all’aperto fino a tardi. Allora lo spauracchio di trovare un morto in casa agiva da forte deterrente verso i loro propositi di permanenza.
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