Córle

Córle s.m. = Trottola

Trottola di legno tornito, munito di punta metallica. Aveva la forma di cono con la base a calotta. Esistevano di varie misure da 6 cm (‘u córle più diffuso) a 10 cm di altezza (detto ‘u pataccöne).
Si azionava mediante un grosso spago formato da due o più capi ritorti di canapa, detto zajagghje. Lo si avvolgeva sulla trottola e si lanciava su un terreno compatto. Il rapido srotolamento dello spago imprimeva alla trottola un movimento rotatorio tale da farla restare ritta sulla punta a pirlare a lungo su se stessa.

Si facevano giochi di squadra, con questi oggetti, che duravano un intero pomeriggio.
Il terreno ideale era di tufina battuta. Si tracciavano si di essa con la punta della trottola due cerchi concentrici: quello interno del diametro di 20 cm e quello esterno max 180 cm e delimitava la distanza da cui lanciare la propria trottola.
Tutto lo schema, come quello del gioco della campana era chiamato ‘a vènghe (←clicca).
Nel cerchio piccolo di poneva la trottola del giocatore che nel lancio iniziale per prima cessava di roteare.
Gli altri, a turno cercavano di centrarla pronunciando ad alta voce la propria volontà, rivolgendosi alla vènghe, ossia al tracciato sul terreno.
La dichiarazione d’intento più diffusa, perché non impegnativa, era: venga vè, pennìcchje da söpe = cerchio tracciato, colpirò sopra il giocattolo che è nel centro dell’area piccola proprio per scalfirlo. Se il lanciatore non la colpiva doveva semplicemente attendere il successivo turno di lancio.
Qlcu più sicuro dichiarava: “Vènga vé tutte sòtt’ è ffore de mè“, oppure: “Venga, vè,  jü e Giuànne söpe e tutte quànde sòtte” = Io e Giovani continueremo i lanci e tutte le altre trottole vanno poste al centro per subire le incursioni…
Però, se il lanciatore non centrava la trottola che faceva da bersaglio, era la sua che doveva rimanere nel cerchio centrale a subire gli attacchi degli altri.
Lo scopo era la distruzione dei giocattoli avversari, ma raramente i córle si spaccavano per questi lanci, anche se i “proiettili” erano patacconi,

Dietro suggerimento del lettore Pino La Torre, aggiungo il glossario per completare l’argomento:

– Pennìcchje: Scalfittura, infossatura, buchino inferto dalla punta metallica di una trottola ad un’altra trottola giacente al centro della vènghe;

– Pennózze agg, = Pennuzza, nel senso si leggerezza. Indica una trottola di media grandezza che rotea sul palmo della mano, senza alcuna vibrazione, in modo così lieve da farsi sentire a malapena, segno evidente di buona riuscita;

– Lüme agg. = Lima. Sinonimo di pennózze. Forse perché la punta è perfettamente levigata come se fosse stata trattata con una lima a grana fine;

– Trùne, agg. = Tuono. Nel caso opposto al precedente, la trottola è difettosa, perche nel conficcare la punta metallica arroventata nel legno, non la si è mantenuta in asse. Quindi trùne/grave, pesante, contrario a pennózze/leggera;

– Zarabbabbàlle agg. = Instabile. È così definita quella trottola che per errata calibrazione, è disassata, e quando gira fa sul terreno una strana traiettoria, quasi saltellante ed è impossibile raccoglierla in mano.

Oggi i córle si vendono solo a Monte S.Angelo. I pellegrini di una certa età li comprano per nostalgia, ma non ci gioca più nessuno purtroppo ?

In Italia, la piccola”trottola” prende diversi nomi: “Ciucidda”, in Sicilia (Pachino – Siracusa), “Girifalco” in Calabria, “Morrocula” in Sardegna, “Strummola” a Palermo, “Strummolo” a Napoli, “Cùrrulu” in alcuni paesi del Salento, più simile al nostro “córle”.

Il prof. Michele Ciliberti mi ha specificato che «Lo στρòµβος/strombos o strobilio era il gioco che praticavano i bambini greci già nell’antichità. Nell’idioma greco antico era detto στρομβιλιων/strombilion, ossia “piccola pigna” o “cono”, oltre che per via del movimento rotatorio che si poteva imprimere a tale oggetto.»

Da strombilion è derivato il termine strummulu o in Sicilia  e strummolo in Campania.

*  *  *

Il dott. Matteo Rinaldi, autore assieme a Pasquale Caratù di un pregiatissimo Vocabolario dialettale manfredoniano, mi scrive a questo proposito:

«Ti ricordo che le punte in ferro, ai famigerati córle li andavamo a ordinare da mast’Necöle Telera, la cui officina si trovava all’imbocco di vico Clemente in una rientranza delle mura, ed era ricavata da un mezzo vagone ferroviario.  Tra l’altro i giochi con il corle erano due, se ben ricordi; il primo era ‘a vvènga vènghe‘ e l’altro era ‘ai pennicchie‘, cioè a colpire ‘a patacca’ (così si chiamava la parte lignea della trottola).

Sono ricordi indelebili perché scolpiti fortemente nella mente di noi ragazzi di un tempo che ci accontentavamo di pochi giocattoli procurati a stenti e spesso da noi stessi ideati.»
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1 Comment

  1. Bellissimo. Giochi così sono il massimo, non esistono più e andrebbero riscoperti e tutelati, perché affinano tutti i sensi. E se è vero che il gioco è addestramento alla vita, i bambini dovrebbero applicarsi con passione alla trottola in questione, o giochi del genere, fatti di niente, per sviluppare sempre più nuova inventiva utilissima in un Mondo con sempre meno risorse materiali. Chissà che non ne vengano fuori idee nuove, o – vedi mai – un nuovo miracolo economico, di cui avremmo tanto bisogno.


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