Chjangöne s.m. e sop. = Ciottolo.
Grosso frammento di pietra, masso, macigno. Generalmento inteso come sasso da lancio, ma va bene anche come masso per edilizia adatto a preparare un vespaio di drenaggio nelle fondazioni.
Il soprannome Chjangöne deriva dal fatto che il soggetto era di conformazione massiccia e pesante, come una roccia.
Figuratamente una pietanza indigesta che fa “peso” nello stomaco viene paragonata ad un chjangöne = macigno. Il comico Nino Frassica l’ha efficacemente definita mappazza.
Da ragazzotti avevamo battezzato “a chjangöne” una specie di tuffo dalla banchina del faro del molo di levante.
Un tuffo senza alcuna pretesa di stile olimpionico, eseguito in tre fasi:
-rincorsa,
-lancio, con raggomitolamento (rannicchiandosi e stringendo con le braccia le proprie ginocchia unite sotto il mento) durante il volo,
–splash finale, come se in acqua fosse caduto un macigno che ovviamente provocava l’innalzamento di una fragorosa colonna d’acqua.
Generalmente si entrava e si sprofondava di culo, quindi senza l’impatto doloroso della spanciata… Un tuffo molto facile e divertente: lo sapevamo fare tutti!
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